Sydel Silverman ed uno spaccato etno-antropologico di Monte Castello di Vibio (XXI Settimana)

#teatropiccolo/cultura

Correva il mese di settembre dell’anno 1960 quando l’antropologa statunitense Sydel Silverman iniziava i suoi dodici mesi di studio e permanenza nel borgo di Monte Castello di Vibio, con in progetto un’analisi etnologica sulla vita di un paese di collina dell’Italia centrale. Fino ad allora le dissertazioni etno-antropologiche in Italia si erano concentrate sullo scenario rurale e di sostenibilità economica dell’Italia meridionale e sui distretti industriali del Nord.
Quello che uscirà nel 1975 sarà il primo libro con un focus di interesse etnografico sulla vita sociale ed economica di un villaggio dell’Italia centrale nella sua fase di passaggio dalla mezzadria agraria agli anni 73/74, periodo di ritorno a Monte Castello di Vibio della professoressa, in cui la conversione del sistema agricolo in terreni di proprietà autogestiti ed in imprese ha mutato anche l’assetto delle caste sociali, modellandone diversamente gli usi ed i costumi vigenti.

Divisione del grano col sistema della mezzadria, 1960/61 a Monte Castello di Vibio (PG)

Il dato interessante, che riflette la dinamica più ampia del sistema rurale regionale, riguarda la maggiore disponibilità di terreni nella forma di lavoro salariale che si registra nel censimento del 1970, declinato il sistema della mezzadria, nonostante il generale decremento del lavoro agricolo rispetto a dieci anni prima.
Il cambiamento economico e sociale si riflette sulla percezione personale e sull’organizzazione degli spazi comuni: vita privata e pubblica sono più chiaramente distinti e si riscontra una maggiore iniziativa privata nell’organizzare i propri spazi ricreativi anziché aderire automaticamente a quelli vigenti in prossimità dell’abitazione; così come si rilevano minori attriti nelle feste quaresimali con la figura del sacerdote ed una nuova percezione del borgo, inteso come detentore di una qualità di vita civile e salubre.

Dal libro ‘Tree Bells of Civilization’ di Sydel Silverman (1975)

Intorno alla metà degli anni ’70 emerge più fortemente il bisogno di valorizzare la propria identità territoriale, di investire localmente per restaurare il Teatro della Concordia (chiuso dal 1951) e per promuovere festival sul posto.

Il termine civiltà richiama il concetto di riconoscimento identitario nazionale più di quanto non afferisse a distinzioni locali nel 1960/61, così come risiedere entro le mura o in campagna non denota più così spiccatamente un’appartenenza di classe, ed i trend di moda delle maggiori città influenzano anche lo stile della provincia.
L’antropologa Sydel a pagina 234 del suo libro “Three bells of Civilization“, asserisce che Monte Castello di Vibio, così come ogni cittadina, è depositaria di elaborazioni culturali, attraverso i cambiamenti politici, economici e sociali che vive.

“New ideas were therefore continually reinterpreted
through an urban view of the world”

#teatropiccolo/cultura apre la riflessione al background che sottende l’odierna manifestazione culturale e che si è accumulato nel corso dei decenni, ripetuti per millenni, nei luoghi che abitiamo, nella configurazione del tessuto urbanistico, dei materiali edili, della conformazione territoriale e della vocazione tipica per risorse possedute e implementate.

Sydel Silverman al Teatro della Concordia (ph Ross J Slade)

Avere avuto l’onore di ospitare Sydel Silverman al Teatro della Concordia domenica 10 agosto 2014, dopo 40 anni, è stato un momento celebrativo della stessa matrice etimologica della parola “cultura”da intendersi tanto come perfezionamento della persona quanto come intervento sulla natura e sull’ambiente sociale, e conservante “l’idea della trasformazione” [Treccani.it], come costante processo evolutivo, cui è stato aggiunto un ulteriore tassello di contatto empatico ed etnologico con il gruppo nuovo e con quello persistente di allora (che l’ha accolta in una graditissima sorpresa!).
E se passando in questi luoghi il celebre trattatista Cipriano Piccolpasso scrisse nel 1568 che gli “hommini di 80 anni paiono averne appena 35”, perché l’aria era pulita e salubre, e nel 1986 la vicinissima Todi fu definita “la città ideale e più vivibile del mondo” da uno studio dell’Università del Kentucky, forse forse che un filo conduttore di vantaggio competitivo questa terra lo detiene, in termini di vivibilità e variazione ecologica.

 

Serena Brenci Pallotta

Serena Brenci Pallotta

Una laurea con lode in economia e gestione dei servizi turistici e la vocazione per la comunicazione a 360°: dal marketing territoriale e culturale alle dinamiche internazionali di corporate governance e marketing strategico, disaminate con una permanenza ed una tesi specialistica all'Università svedese di Kristianstad, fino agli approfondimenti in comunicazione digitale al Sole 24 Ore. Gestalt counselor certificata REICO e Storyteller per vocazione.

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